Il rumore prodotto dalle attività umane provoca danni all’ecosistema marino, in particolare ai cetacei. Il nuovo report del WWF che evidenzia il problema e chiede di intervenire.
L’equilibrio del mare, nell’area a noi celata che sta sotto la superficie, è molto delicato: ogni piccola variazione o nuovo elemento può infatti comprometterlo. Il rumore, in particolare, è fondamentale per alcune specie di mammiferi marini che lo utilizzano per comunicare e orientarsi.
I rumori prodotti dalle attività umane, però, hanno effetti collaterali sulla vita dei cetacei che abitano i mari. Pensiamo a quelli prodotti dalla sola navigazione, con un traffico nautico spesso fin troppo elevato in molte aree, ma anche a quelli derivati da esplorazioni petrolifere, sismiche e oceanografiche o dall’impiego di airguns o dai sonar. Tutti hanno un impatto sulla vita del mare che viene spesso sottovalutato dall’uomo.
Per questo, il WWF ha stilato un nuovo report dal titolo “Rumore antropico nel mare, sopportabile per l’uomo, deleterio per i cetacei” che evidenzia il problema e chiede alle istituzioni di intervenire elaborando misure urgenti per normare e ridurre le emissioni sonore di origine antropica.
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Il problema è particolarmente evidente nel Mare Nostrum che viene definito “vero e proprio hotspot di biodiversità per i cetacei“. Questi ultimi sono considerati animali “acustici” per eccellenza e, secondo quanto riportato dalla IUCN (Unione mondiale per la conservazione della natura) si troverebbero già in condizioni di conservazione critiche.
Come riferito dal WWF, le 8 specie di cetacei presenti nel Mediterraneo sono infatti inserite tra le categorie “data deficient” (per le quali le informazioni sono insufficienti), “vulnerabile” (capodoglio, balenottera comune) e “in pericolo” (delfino comune). Proprio per proteggere la grande biodiversità di cetacei nel Mediterraneo, nel 2002 è stato istituito il Santuario Pelagos classificato come Area Marina Protetta.
Ma perché il suono è così importante per i cetacei? Questi animali hanno sviluppato negli anni adattamenti specifici per sfruttare il rumore anzitutto come strumento di comunicazione. Ma lo utilizzano anche per altri scopi: orientamento, riproduzione, predazione e visione subacquea alternativa (detta “ecolocalizzazione” o “biosonar”).
I suoni prodotti dalle attività umane vengono suddivisi in due gruppi dal WWF: rumore impulsivo (“a impatto”) come quello prodotto dalle esplorazioni petrolifere, sismiche e oceanografiche o dall’impiego di airguns o dai sonar, è un suono ad alte frequenze e di breve durata che può ripetersi o meno nel tempo; rumore continuo, come quello prodotto dal traffico nautico che è un suono a basse frequenze che persiste nel tempo (da pochi minuti a diverse ore).
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Tutti questi rumori influenzano negativamente la vita dei cetacei provocando diverse conseguenze. In primis, i mammiferi marini possono perdere la sensibilità uditiva e quindi si allontanano dalle zone che frequentano abitualmente per nutrirsi e riprodursi; spesso non riescono più a orientarsi, finendo spiaggiati sulla costa.
In particolare, gli effetti fisici sui cetacei possono andare da baro-traumi (se gli animali sono vicini alle fonti sonore) a embolie causate dalla rapida risalita in superficie ma anche la morte. Inoltre, possono esserci lesioni uditive che hanno conseguenze anche sul futuro della specie.
In conclusione, WWF chiede interventi mirati per proteggere i mammiferi marini: restrizioni stagionali alle attività umane in determinate aree con specie sensibili, limitazioni per tutto l’anno in zone ad alto rischio dove sono presenti specie in via di estinzione, accurata selezione del sito per le attività che possono essere pianificate con maggiore flessibilità.
Inoltre, all’interno del report si propongono soluzioni alternative alle tecnologie utilizzate finora ma anche migliorie. “È ormai evidente come la conservazione dei cetacei nei mari del mondo dipenda da una serie di importanti fattori, tra cui la nostra capacità e volontà di ridurre l’inquinamento acustico“, conclude l’associazione chiedendo l’impegno di istituzioni, enti di ricerca e società civile ma anche delle aziende responsabili di progetti con potenziale impatto acustico.
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