La rete dei Bitcoin consuma da un anno più energia di un paese grande come l’Argentina. La domanda di energia ha il suo impatto decisivo sul surriscaldamento globale.
Bitcoin è ormai una parola entrata nel nostro vocabolario e per alcuni rappresenta ormai un sogno. La criptovaluta è cresciuta in un anno di circa il 313% del suo valore e questo di fatto la rende un asset digitale molto ambito. La domanda di energia necessaria per tutte le transazioni sicuramente però pone degli interrogativi.
Per mandare in circolazione i bitcoin sono necessari dei computer avanzatissimi che servono per elaborare i calcoli. Secondo uno studio che arriva dall’Università di Cambridge il mercato di questa criptovaluta richiede in un anno la stessa energia di un intero paese come l’Argentina.
A causa del loro prezzo in aumento costante poi i Bitcoin sono ricercati come una strategia di investimento dai più considerata sicura. Finiscono dunque col diventare un’area di speculazione finanziaria o una riserva di valore in una dicotomia che spesso confonde. Oggi un Bitcoin costa attorno ai 50mila dollari, alla fine del 2019 il prezzo era attorno ai 10.
L’ultima impennata è arrivata lo scorso febbraio quando Elon Musk ha annunciato che la Tesla, la sua azienda, aveva acquistato 1.5 miliardi di Bitcoin. Da quel momento il prezzo è salito a 60mila dollari per unità.
L’impronta ambientale di Bitcoin
Il fenomeno in questione porta moltissime persone e aziende a cercare di arrivare ai Bitcoin e questo richiede uno sforzo energetico decisamente importante. Si parla addirittura di un consumo medio annuo di 121.36 Twh (terawattora).
Ovviamente questo apre lo scenario a una critica ambientale. La maggior parte dell’energia richiesta dai computer che elaborano Bitcoin arriva da fonti fossili che vanno a generare delle emissioni di gas decisamente nocive per la nostra atmosfera.
L’indicatore del consumo energetico della rete Cambridge Bitcoin ci fornisce dati in tempo reale. Questo evidenzia come il consumo attuale potrebbe essere paragonato a quello dell’energia di cui ha usufruito proprio l’Università di Cambridge per quasi sette secoli.
Specialisti dei mercati finanziari sottolineano come questo sistema alla lunga non sia sostenibile. Avvertono che una possibile bolla potrebbe portare anche al crollo dei prezzi perché tanta energia non è una risorsa possibile per far rimanere i Bitcoin in circolazione.
Perché questa criptovaluta richiede così tanta energia
Il progetto di crittografia di Bitcoin richiede enormi calcoli computazionali per far sì che la macchina in questione si metta in moto. Questo sistema si chiama Blockchain a cui partecipano milioni di computer decentralizzati (i minatori).
Ogni miner ha la funzione di creare nuovi Bitcoin e verificare e autorizzare transazioni che vengono effettuate con la criptovaluta.
Il primo miner che invia tutti i dati definitivi riceve una ricompensa. Quando questi dati vengono elaborati un nuovo requisito entra nel sistema e fa nuovamente mettere sul ring della sfida tutti i miner.
Se più computer sono collegati alla rete per decrittografare le transazioni l’operazione diventa più complessa e quindi chiede maggiore capacità di calcolo e dunque maggior consumo di energia.