Eliminando ogni discriminazione sessuale, al giorno d’oggi si può definire una città femminista? Questo aspetto sarebbe rintracciabile nell’evoluzione dei centri urbani. Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta
Ci sono città, nel mondo, dove si osserva una maggiore concentrazione di biciclette. Pensiamo alle realtà urbane del Nord Europa come Amsterdam o Copenaghen, celebri per l’enorme utilizzo di questo mezzo sicuramente più sostenibile.
Ecco, ora pensiamo al numero di ciclisti che osserviamo ogni giorno (o abbiamo visto magari durante una vacanza in una di queste città): avete mai notato che la maggior parte di questi é donna?
Se pensiamo ai soli Paesi Bassi, ad esempio, ben il 56% delle persone che inforcano una bicicletta sono di sesso femminile. Questo succede non tanto per le loro caratteristiche peculiari (non ci sono elementi che rendano le donne più “adatte” rispetto agli uomini all’andare in bicicletta, ovviamente) quanto per l’evoluzione stessa delle città in cui si trovano.
Potrà sembrare un ragionamento assurdo, eppure è tanto semplice quanto palese agli occhi di tutti. Ogni realtà olandese, dal più piccolo villaggio alla maggiore metropoli, è pianificata in un modo da raggiungere qualsiasi destinazione partendo dalla propria casa….utilizzando la bicicletta!
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Così, quando l’utilizzo della bicicletta é spinto così fortemente dalla struttura stessa del luogo in cui si vive, risulta naturale scegliere questo mezzo per gli spostamenti quotidiani. Questo vale soprattutto per le donne.
Negli anni, la tendenza della maggior parte delle città (escluse appunto quelle nordiche) è stata però quella di privilegiare un approccio “maschile” al design urbano.
Il lavoro è stato ritenuto l’aspetto più importante su cui focalizzare la pianificazione del centro cittadino, dunque le donne sono state di fatto escluse per molto tempo da questi ragionamenti.
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Il gentil sesso, infatti, per decenni è stato relegato ad accudire i figli e badare alle faccende domestiche. Inoltre, per molto tempo le donne sono state sottorappresentate nel settore trasporti: non essendo coinvolte, sono state quindi estranee a qualsiasi decisione.
Così, la gender equity non è mai stata realmente raggiunta nelle città – in particolare in quelle europee. “Non sappiamo cosa sia una città femminista perché non ne abbiamo mai avuta una“, così sostiene l’antropologa urbana Katrina Johnston-Zimmerman.
Se si desse priorità all’equità di genere nella pianificazione delle città e nel settore trasporti, le realtà urbane sarebbero strutturate con una logica più femminista e diventerebbero più accessibili per chi ci vive: in questo modo, ne beneficerebbero tutti.
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