L’Italia, di recente, ha intrapreso una scelta importante a livello mondiale: aprire le sue porte. Cosa si intende per “rifugiato climatico”? Esiste questa definizione, realmente?
Di certo è nota al mondo l’espressione di “rifugiato” , ossia colui che trova rifugio in un luogo diverso da quello di provenienza, in quanto non può o non intende ritornarvi per motivi legati a discriminazioni, persecuzioni e simili.
Se, invece, dovessimo aggiungere a questo termine anche la parola “climatico”, allora la faccenda cambierebbe e diventerebbe ancora più attuale. Per la prima volta, si crea un legame tra la crisi climatica che il pianeta sta affrontando e i flussi migratori, che da sempre hanno caratterizzato il mondo.
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Questo ci porta a pensare ad un’unica domanda: “I rifugiati, allora, possono denominarsi ambientali?” Ecco che la risposta è affermativa, ma scopriamo insieme il vero significato di ciò.
L’anno 2020 nasconde un dato alquanto importante e utile per comprendere al meglio il fenomeno della migrazione. Secondo quanto emerso dall’Internal Displacement Monitoring Centre, sono ben 55 milioni le persone dette “sfollati ambientali”, perché costrette a trasferirsi soprattutto a causa di eventi climatici di grande portata.
Ciò che più preoccupa è che queste persone provengono, per la maggior parte, da aree in via di sviluppo: Africa, Bangladesh, Sud America, dove i danni ambientali aggiungono disagi alle problematicità sociali-economiche preesistenti.
Nel dicembre scorso, in Italia, sono stati approvati ben due nuovi decreti sicurezza. Tra questi, troviamo il riconoscimento italiano dei migranti climatici. Un evento incredibile, se pensiamo che i migranti climatici, secondo le Nazioni Unite, nemmeno esistono.
La svolta vera e propria arriva dalla sentenza n.5022 del 9 Marzo 2021 della Corte Suprema di Cassazione. In quest’occasione si afferma, dunque, che “il nucleo che costituisce la dignità della persona include anche altre situazioni di pericolo come disastri ambientali e dello sfruttamento, sempre più insostenibile, delle risorse naturali.”
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Si tratta di un risultato, questo, senz’altro molto umano, al punto che la Presidente italiana Serena Giacomin, di Italian Climate Network, ha commentato attraverso un ragionamento lineare e logico: “ Se investiamo con astuzia nella sostenibilità, soprattutto nei paesi soggetti a maggiore vulnerabilità, allora potremmo anche ridurre il numero di migranti nel mondo.”
Spesso, infatti, si pensa che chi è costretto a migrare non soffra del fatto che lascerà il suo ambiente nativo, forse per sempre. Eppure il disagio psicologico ed economico che ne deriva non è cosa da poco.
Appare, così, scontato che urge un’azione decisiva nei confronti di politiche pubbliche volte a migliorare la situazione drammatica di crisi ambientale che stiamo vivendo.
Questo, senza mai dimenticare l’umanità e la dignità personale, valori senza i quali l’essere umano si può dichiarare fallito nella sua missione di esistenza.
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