Il 90% dei fondi che vengono spesi per la salvaguardia delle coste sono interventi di emergenza. Ecco cosa funziona e cosa non funziona proprio della lotta all’erosione costiera.
Negli ultimi 50 anni si sono persi 40 milioni di metri quadrati di spiagge, e per un lustro il dito é stato puntato contro le dighe nell’entroterra e nei confronti delle estrazione dei minerali in cava lungo i fiumi, entrambe attività che non permettevano ai sedimenti di compiere il loro corso naturale e finire, tramite le foci, nuovamente sulle coste.
Secondo l’ultimo “Rapporto spiagge” pubblicato da Legambiente, però, la storia è diversa. Lottizzazioni, strade costiere, linee ferroviarie e zone industriali, influiscono più pesantemente e causano effetti immediati alla perdita costiera. Ponendo queste installazioni in prossimità delle spiagge, si limita la naturale capacità di autoprotezione delle coste.
Le spiagge spariscono: perché mettere cerotti anziché risolvere il problema?
Ciò che dovrebbe cambiare è la prospettiva con la quale si guarda al problema, le soluzioni usate finora sono un cerotto malamente posto ad un problema in crescita. Ed i risultati sono davvero evidenti.
“In sostanza la moltiplicazione delle opere rigide realizzate è direttamente proporzionale all’incremento dei litorali in erosione.” – spiega Diego Paltrinieri in “Spiagge“, il rapporto di CoReMa pubblicato quest’anno.
Le opere rigide come massicciate, tetrapodi, pennelli e barriere frangiflutti si estendono per oltre 1300 km sui nostri litorali dovrebbero aiutare a combattere la costante erosione delle coste. Quando tali opere rigide sono installate con lo scopo di difendere la spiaggia, si tratta quasi sempre di interventi dell’ultimo minuto.
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Negli ultimi 50 anni si sono spesi, esclusivamente per la difesa delle spiagge circa 4,5 miliardi di euro dei quali il 90% sono stati usati per opere di emergenza. Ciò porta ad avere una quantità eccessiva di opere rigide sulle nostre coste che semplicemente “inseguono” il problema dell’erosione costiera invece di cercare una soluzione concreta e duratura nel tempo.
Per fare un esempio, si contano 200 strutture su 20 km da Margherita di Savoia a Manfredonia in Puglia, con una media di 10 opere al chilometro.
La questione è che tali opere difendono la spiaggia direttamente retrostante e solo temporaneamente, senza considerare i processi di erosione che avvengono sottoflutto. Per questo motivo vi é la costante necessità di aggiungere nuove opere di difesa costiera dopo solamente alcuni anni, creando quindi si mette in atto un ciclo dove si “rincorre” il problema.
Quali sono le soluzioni per tutelare le spiagge?
Le soluzioni ci sono e potrebbero essere messe in atto a partire da un cambiamento nell’approccio. Appare difatti sempre più evidente che servono soluzioni che si adeguino alla dinamica naturale delle coste, e la migliore include riversare sedimenti naturali sulla costa, di uguale o simile colore e granularità, in una tecnica definita ripascimento.
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I ripascimenti artificiali si basano sul delicato equilibrio che regola qualsiasi arenile naturale e consiste nella “ricostruzione” di spiagge. Queste sono create in una forma che possa opporre un contrasto naturale all’erosione eolica e marina, inclusa quella causata dalle correnti litoranee di fondo.
I risultati del ripascimento sulle nostre coste
Secondo lo studio sopra citato, le spiagge che hanno usato interventi di ripascimento sono quelle più in salute: in Liguria, ad Ameglia, nel 2014 si sono spostati 100 mila metri cubi di materiale ed in un solo biennio la spiaggia e aumentata naturalmente di 20-30 metri. Inoltre, le secche di difesa presenti sono state eliminate in quanto oramai inutili.
Similmente e avvenuto in altre spiagge come Bergeggi (Savona), Vallecrosia (Imperia) e Posada in Sardegna (Nuoro), tutte oggetto di interventi di ripascimento che si sono rivelati più che efficaci.