Lo spreco alimentare è un problema ancora fortemente presente nella maggior parte dei Paesi ricchi o mediamente ricchi del mondo. Ecco come si posiziona l’Italia.
Quanto cibo sprechiamo ogni giorno? Forse è una domanda che non ci poniamo spesso, eppure se solo sapessimo la quantità di alimenti che quotidianamente finiscono nei rifiuti, ci spaventeremmo.
Ecco perché è importante avere sotto mano dati come quelli di Waste Watcher International, osservatorio sullo spreco alimentare domestico, che dal 2013 monitora annualmente le abitudini degli italiani in merito alla gestione del cibo.
Grazie all’osservatorio, gli italiani e non solo possono comprendere quali sono le dinamiche sociali, comportamentali e gli stili di vita che generano lo spreco di cibo. In questo modo, WWI aiuta anche a creare politiche e azioni che aiutino a prevenire questo fenomeno divenuto ormai una vera e propria (mala) abitudine.
WWI è tra l’altro uno strumento fondamentale della Campagna Zero Waste. Lo scorso febbraio dunque, in occasione della Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare che si celebra il 4 febbraio, sono stati comunicati gli ultimi dati: l’Italia è più virtuosa di altri Paesi, ma non fa ancora abbastanza.
Italia spreca meno cibo, ma…
In 7 giorni, lo spreco alimentare medio individuale in Italia è di ben 595,3 grammi. Gli alimenti più sprecati nell’ultima settimana presa in esame dallo studio sono stati: frutta fresca (25,5 grammi), insalate (21,4 grammi), pane fresco (20 grammi), verdure (19,5 grammi) e cipolle-aglio-tuberi (18,7 grammi).
A livello geografico, secondo WWI lo spreco di cibo maggiore avviene al Sud (+18%) mentre vanno meglio Nord Italia (-12%) e Centro (-10%). Le famiglie che sprecano di più sono quelle senza figli e nei Comuni di medie dimensioni.
Ma perché gli italiani sprecano? Il 47% delle persone dichiara di dimenticarsi di avere determinati cibi, che quindi poi scadono o si deteriorano; il 46% fa andare a male frutta e verdura conservandole in frigo; il 33% ha paura di non avere abbastanza cibo a casa; il 30% calcola in modo errato ciò che serve. Inoltre, nel 35% dei casi i cibi venduti sono già vecchi.
Le conseguenze degli sprechi sono economiche ma anche educative (soprattutto sui giovani) e morali. Inoltre, si sprecano risorse vitali e si aumenta l’inquinamento da rifiuti. Rispetto ad altri Paesi, l’Italia pare comunque più attenta ma non basta: per combattere questa vera e propria piaga serve un impegno maggiore da parte di tutti gli attori coinvolti.
Partendo dai cittadini, che devono assumere comportamenti più responsabili quando acquistano o scelgono di gettare il cibo ma anche educare a una cultura del riciclo per gli alimenti. Fino a chi si occupa di stabilire le politiche agricole o le normative nei posti in cui il cibo viene venduto.