Cosa si nasconde dietro questa pubblicità aggressiva di queste multinazionali? Ce lo spiega l’Organizzazione Mondiale della sanità.
Le neomamme vivono i primi giorni di nascita del proprio bambino con ansia ed apprensione. Hanno sempre il timore di sbagliare e di non essere all’altezza della nuova sfida che la vita ha loro riservato. Ma soprattutto hanno paura che il piccolino, non attaccandosi sufficientemente al seno ad esempio, possa non mangiare abbastanza durante la giornata.
Tuttavia optare per il latte materno, che resta la scelta migliore e più nutriente, significa anche “sacrificare” le proprie giornate alle esigenze del bambino. Lavorare diventa molto più complicato dopo il periodo di congedo, così come anche prendersi una meritata pausa per staccare la spina. Ecco allora che i social studiano delle strategie di marketing ad hoc che puntano, tramite le loro pubblicità, ad insinuarsi le tra le insicurezze e le paure delle mamme.
L’allattamento al seno, soprattutto su Instagram, viene esageratamente scoraggiato dalle multinazionali del latte in polvere, interessate, ovviamente, a favorire la loro merce. Le società che si affidano alle influencer sono sempre di più, basta esplorare il proprio feed personale – tramite una profilazione svolta dai social – per ricevere una quantità esorbitante di sponsorizzazioni. Questa tipologia di marketing aggressivo non poteva di certo passare inosservata, tanto che perfino l’OMS si è accorta del fenomeno, pubblicando un report di denuncia.
Il prezzo del latte in polvere
Ma come funziona l’operazione commerciale delle multinazionali del latte in polvere? Ce lo spiega proprio l’Organizzazione mondiale della sanità che ha analizzato 4 milioni di contenuti social sull’alimentazione neonatale. In soli cinque mesi, da gennaio a giugno 2021, i post hanno raggiunto 2,47 miliardi di utenti, con 12 milioni di like, condivisioni e commenti. Un numero di interazioni davvero esagerato che mostra come niente sia lasciato al caso.
La pubblicità massiva ed aggressiva degli account commerciali supera di ben tre volte i contenuti a sostegno dell’allattamento al seno, creati, invece, da pagine informative. Insomma, pagando anche i social per sponsorizzare stories e reels, le aziende riescono ad ampliare notevolmente il loro potenziale bacino d’utenza.
Le conseguenze sono quasi inevitabili. Sempre più mamme, infatti, prediligono il latte in polvere che dovrebbe essere preso in considerazione solo in carenza o, addirittura, in mancanza di quello materno. Ma non solo.
Il marketing digitale è talmente persuasivo ed incontrollato da violare il Codice internazionale per la commercializzazione dei sostituti del latte materno, varato nel 1981 dall’Assemblea mondiale della sanità. L’accordo, già allora, si occupava della crescente pratica di marketing aggressivo, volto ad abbandonare il latte naturale. E all’epoca non esistevano ancora nemmeno i social.