Anche i polpi, così come molte altre specie acquatiche, rischiano di essere sottoposti alle torture degli allevamenti intensivi. Ecco perché bisogna fermarli subito.
Il sempre maggiore consumo di polpi non aiuta a salvaguardare questa specie, anzi porta a elaborare metodi intensivi per rispondere all’aumento crescente della domanda.
Doveva essere uno sprono a sensibilizzare la popolazione sulle meraviglie insite in questa specie, invece ha attirato l’attenzione sbagliata. Stiamo parlando del documentario Premio Oscar 2021 focalizzato sulla storia di amicizia tra un polpo e il regista, “Il mio amico in fondo al mare”.
Il consumo di polpo non è cosa nuova, tuttavia negli ultimi tempi i consumatori sono sempre più attirati dal suo utilizzo a tavola. Dai Paesi europei del Mediterraneo a quelli asiatici e fino al Messico, recentemente si è notato un aumento del suo consumo anche in Giappone e Stati Uniti.
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Gli esemplari selvatici si sono dunque sempre più ridotti, al punto che si è resa necessaria la realizzazione di allevamenti intensivi. Tutto ciò, per rispondere alle richieste del mercato.
Si tratterebbe di gabbie per acquacoltura, messe in mare aperto, e vasche posizionate sulla terraferma pensate per allevare i polpi in cattività.
Il polpo, però, è particolarmente inadatto all’allevamento di questo tipo. Lo denuncia l’associazione Compassion in World Farming che chiede di evitare che questi animali vadano incontro ad atroci sofferenze.
Anzitutto, i polpi sono per loro natura animali solitari: non vivrebbero bene in condizioni di affollamento e alta densità. Al contrario, i polpi svilupperebbero comportamenti aggressivi e territorialismo provocando un danno a se stessi e agli altri esemplari.
Inoltre, si tratta di animali molto curiosi e intelligenti che amano esplorare l’ambiente circostante. Chiuderli in cattività provocherebbe loro immani sofferenze.
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Ancora, se venissero cibati con resti di altri pesci (essendo carnivori) graverebbero ulteriormente sulla popolazione ittica già decimata per il consumo umano.
Essendo poi animali selvatici, al momento non sono disponibili abbastanza studi che testimonino il loro comportamento in cattività: perché provocare loro sofferenze inutili?
Le loro caratteristiche fisiche li rendono tra l’altro molto sensibili. Difatti, é molto alto il rischio che in allevamento si possano ferire a causa del contatto con i loro simili.
Per quanto concerne, poi, la loro macellazione, ad oggi si utilizzano metodi crudeli. Per nominarne qualcuno, si assiste a colpi vibrati alla testa, lacerazione del cervello, uccisione per asfissia nella rete, uso del ghiaccio.
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Infine, questa specie non sarebbe tutelata nemmeno a livello legislativo: manca una legge nazionale o europea che li salvaguardi negli allevamenti. Il loro allevamento andrebbe contro gli orientamenti strategici individuati dall’UE per lo sviluppo di attività di acquacoltura.
Concludendo, la consapevolezza dell’acquirente é il primo passo per attuare comportamenti responsabili verso altri organismi viventi, oltre che per il Pianeta.
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