Il problema delle mascherine e della loro dispersione è sotto gli occhi di tutti. Bisogna agire con determinazione, e non solo sul versante del corretto smaltimento.
Le mascherine si sono presto trasformate dall’essere solo un dispositivo di protezione necessario per la nostra sicurezza all’essere anche un problema dagli enormi impatti ambientali. Quando queste si trasformano in rifiuti incidono fortemente sulla salute dell’ambiente e quindi delle persone. Troppo spesso vengono gettate a terra e disperse diventando una vera e propria fonte di inquinamento.
Dopo oltre un anno di convivenza con la pandemia e i dispositivi che ci aiutano a contenere la diffusione del virus, è tempo di pensare a soluzioni efficaci e strategie utili ad evitare che mascherine, soprattutto quelle usa e getta, diventino una minaccia ambientale ancor maggiore a livello globale.
Per capire quanto forte sia l’impatto di questi oggetti sulla Terra, è necessario capire prima come vengono realizzati. Mascherine chirurgiche e guanti sono composti tra l’altro da fibre di carta e plastica, in particolare polipropilene, che si frammentano sempre di più in micro e nanoplastiche restando negli ecosistemi per decenni.
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Se vengono abbandonate per le strade, possono poi finire in fiumi, laghi, mari e oceani danneggiando così gli ecosistemi terrestri e marini, uccidendo la fauna. Le conseguenze sono ben visibili infatti sugli animali: non è raro, che e mascherine vengano scambiate per altro e quindi utilizzate dagli uccelli per costruire i propri nidi. Ancora, possono intrappolare altre specie o essere ingerite – soprattutto quando divise in parti più piccole – e avere effetti letali.
Per evitare che le mascherine impattino così fortemente sull’ambiente, oltre a evitare di gettarle a terra come il senso civico dovrebbe farci intuire, è possibile utilizzare una valida alternativa all’usa e getta.
Già a dicembre 2020, il Centro Ricerca Rifiuti Zero di Capannori, l’associazione Zero Waste Italy, la fondazione Zero Waste Europe e la cooperativa sociale EtaBeta di Bologna avevano proposto mascherine che fossero sicure (certificate come dispositivo medico) ma anche rispettose dell’ambiente.
Sono infatti composte da due strati di stoffa (quello esterno è un tessuto antivirale, quello interno è cotone) e una tasca interna dove viene inserito il filtro (in tessuto non tessuto). Questa mascherina è lavabile ben 25 volte e, nonostante il filtro debba essere cambiato per garantire la sua efficacia, evita di produrre oltre il 95% del rifiuto.
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Ancora, una opzione per ridurre la produzione di questo rifiuto è data dalla possibilità di lavare quelle chirurgiche usa e getta. Secondo un’indagine e test condotti da Altroconsumo, infatti, possono essere riutilizzate fino a 5 volte se lavate in lavatrice a 60° (anche se l’efficacia è già dimostrata a 30°). In questo modo, viene allungato il ciclo di vita delle mascherine chirurgiche garantendone la sicurezza ma anche evitando di produrre maggiori quantità di rifiuti.
Insomma, ci sono varie soluzioni per far sì che le mascherine non diventino un rifiuto altamente impattante per l’ambiente. Importante è, ad ogni modo, educare non solo i cittadini al corretto riciclo o riutilizzo ma invitare anche le aziende a cercare materiali alternativi e realizzare soluzioni certificate, che assolvano allo scopo di proteggerci in modo sicuro ed allo stesso tempo proteggano anche l’ambiente. La questione è fondamentale visto che con questi dispositivi dovremo sicuramente convivere ancora a lungo.
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