Le specie “aliene” sono sempre più presenti nel Mediterraneo e possono provocare danni agli ecosistemi. Per contrastarne la diffusione, una soluzione è mangiarle.
Sono sempre di più le specie “aliene” che infestano i nostri mari. Si tratta di flora e fauna alloctona, ovvero non originaria di quel luogo ma che a causa dell’azione dell’uomo si trova a colonizzarlo.
In questo modo, le nuove specie vanno ad abitare in aree dove già proliferano specie autoctone e quindi creano un cambiamento anzitutto nella catena alimentare. Spesso, con la loro presenza possono arrivare a provocare danni significativi agli ecosistemi.
Ma perché ci sono così tante specie alloctone nei nostri mari, primo fra tutti il Mediterraneo? Perché i cambiamenti climatici stanno modificando enormemente i vari habitat: nei mari si osserva un innalzamento sempre maggiore delle temperature, dunque specie che sono abituate a vivere in acque più calde arrivano anche sulle nostre coste dove ora trovano una temperatura simile a quella a cui sono abituati.
Un fenomeno che possiamo osservare non solo nei mari: anche nei fiumi e nei laghi italiani ci sono numerose specie “aliene”. Qui si vede ancora maggiormente l’azione dell’uomo, in quanto ha man mano introdotto nuovi esemplari fino a incentivarne la riproduzione e a renderla incontrollabile.
Come combattere le specie “aliene”?
Data la loro presenza sempre maggiore anche nelle acque italiane, è fondamentale controllarne la diffusione ma anche limitarla ove possibile e necessario. Con quali metodi si può arrivare a monitorare e fermare la riproduzione delle specie “aliene”? Secondo uno studio, una soluzione sarebbe mangiarle!
Ebbene sì: ce lo dice la ricerca “Meridionalization as a Possible Resource for Fisheries: The Case Study of Caranx rhonchus Geoffroy Saint-Hilaire, 1817, in Southern Italian Waters” condotta dall’Università di Catania e Camerino, pubblicata sulla rivista Journal of Marine Science and Engineering.
Lo studio analizza, in particolare, una specie alloctona che si trova nel Mediterraneo: il carango ronco (Caranx rhonchus). Questa sarebbe arrivata nelle acque del nostro mare a causa della “meridionalizzazione“, ovvero lo spostamento verso acque più calde, e sarebbe totalmente commestibile.
Sebbene vi siano ovvi rischi per quanto riguarda gli ecosistemi, lo studio evidenzia anche le potenzialità di queste specie alloctone: se le mangiassimo, incentivandone quindi la vendita e il consumo, potrebbero scomparire e quindi aiutare l’ambiente e fare bene alla nostra salute.
Ovviamente c’è anche il rovescio della medaglia: potrebbe infatti accadere che aumentandone il consumo e la richiesta sul mercato, si debba poi offrire una quantità sempre maggiore di prodotto. In questo caso, si otterrebbe l’effetto opposto. Attraverso una selezione e controllo di queste specie e della loro immissione sul mercato, tuttavia, si potrebbero raggiungere ottimi risultati.